Salvare la realtà e preservarla dalla post-ideologia del metaverso. Non è uno slogan ma una nuova frontiera culturale, con la quale prima o poi (meglio prima) si dovrà fare i conti per realizzare un obiettivo essenziale: il mantenimento della natura umana e la sua affermazione sul transumano e sul post-umano. Dopo la vecchia e ottocentesca contrapposizione (vera o apparente) fra classico e moderno e quella novecentesca tra l'uomo e la macchina, se ne prepara una nuova e ancora alquanto indecifrabile nei suoi sviluppi finali, che è quella, ontologica, fra l’uomo e il suo doppio.
Detta così sembra una specie di boutade, a cui si potrebbe facilmente rispondere che la dimensione ipertecnologica a cui siamo abituati ha oramai da tempo ammorbidito i rischi di una dicotomia di proporzioni tali da sfociare in una contrapposizione esistenziale. Del resto, assuefatti come siamo alle tecnologie e alla loro penetrazione costante nel quotidiano e nel vissuto di ciascuno, è facile ipotizzare che l’immersione del metaverso (che mette insieme realtà ipotetica, realtà virtuale e realtà aumentata) nella vita umana e viceversa possa essere un processo indolore, almeno in apparenza. In un'epoca come quella in cui viviamo, fra social, smartphone, riunioni da remoto e digitale pure per andare in bagno, c’è da ritenere che la prossima rivoluzione avverrà senza spargimenti di sangue, ma mediante una penetrazione costante nella quotidianità, tale da ammorbidire l’impatto e la consapevolezza della portata di ciò che sta avvenendo. E secondo taluni sostenitori, anche i rischi. Difatti, i cambiamenti dell’esperienza vissuta dall'essere umano, grazie alla sua progressiva “digitalizzazione”, avrebbero già sortito quale risultato anche quello di creare degli anticorpi, in grado, non soltanto di attutire il colpo della prossima rivoluzione, ma anche di assorbirne gli effetti.
Peraltro, l’ingresso del metaverso viene già adesso salutato con grandi aspettative per i benefici che, si racconta, questo potrebbe portare con sé dal punto di vista lavorativo, ma anche didattico, conoscitivo e culturale, visto che la nuova metarealtà sarà applicata a ogni aspetto della vita umana, dallo shopping, per esempio, alla visita immersiva di musei e monumenti, all’insegnamento, al business e alle relazioni umane, familiari e anche sessuali. Insomma, nulla verrà lasciato al caso nel nuovo modello sociale a cui si sta lavorando freneticamente, nel quale le piazze virtuali (private e pubbliche) si sostituiranno progressivamente agli spazi di relazione carnale e spirituale fra esseri umani e l’io reale e l’io digitale “danzeranno all’unisono”. Il metaverso, dunque, non prevede un forte impatto, ma verrà (e viene già oggi e da un bel po’) sperimentato grazie a diverse sfumature di penetrazione nel reale. Iniezioni subdole e invisibili potrebbe dirsi.
E non è di certo un caso che da tempo Mark Zuckerberg, dopo avere annunciato di voler superare la propria creatura Facebook, abbia già inaugurato “Meta” seppure con alti e bassi, quale nuovo fratellone digitale che ci accompagnerà nei futuri passi da compiere nel mondo dell’intelligenza artificiale. Come lui, anche Microsoft (attraverso l’integrazione fra Mesh e Teams) sta lavorando a questo e i due colossi e altri loro competitors, stanno, in pratica, agendo in parallelo per realizzare quello che è stato già definito un “metaverso aperto”.
Siamo, dunque, in presenza di un processo ben incardinato, che reca con sé anche i dubbi su chi gestirà il metaverso stesso, quelli relativi alla privacy, alla cybersicurezza, ai bambini e in generale ai minorenni, al furto di identità e agli altri reati digitali eccetera. Insomma, ci preparano questo nuovo mondo parallelo che assorbirà progressivamente (e progressistamente, perdonate l’espressione infelice) le nostre esistenze e il senso stesso dell’esistenza per come l’abbiamo fino ad ora inteso, che sarà sempre più mescolata al mondo digitale, in cui anche la nostra identità lo diventa.
Il passo che porta alla confusione tra l’io reale e l’io digitale, a ben vedere, è breve e con esso lo smarrimento su ciò che è la “presenza” e la “realtà”: infatti, la nuova identità digitale (salutata dai suoi fautori come conquista del progresso) amplia in modo ancora più netto lo sdoppiamento dell’essere, che contemporaneamente si trova in uno spazio fisico reale e nel proprio smartphone o in un pc: un piede in soggiorno e un dito nel touch screen potrebbe dirsi. Il tutto porta ad una prima difficoltà nel collegare le esperienze vissute nelle due realtà: un rischio già presente da tempo con una serie di disturbi nati nell’epoca dei social, che hanno ingenerato dipendenze e diffusi comportamenti sociopatici. Il passo successivo, mediante un processo di destrutturazione, è quello che conduce alla sistematica e progressiva dismissione della realtà per come la mente e il corpo umano l’hanno vissuta fino ad ora.
Un rischio per nulla astratto, tanto che alcuni mesi fa il "Consiglio per i diritti umani" dell'Onu ha adottato un progetto di risoluzione intitolato "Neurotecnologie e diritti umani" con lo scopo dichiarato di proteggere l'umanità da "dispositivi che possono registrare, interferire o modificare l'attività cerebrale". E per descrivere i pericoli paventati, la risoluzione parla apertamente e senza mezzi termini di ingegneria cognitiva, privacy mentale e libertà cognitiva. Rischi, che sono stati anche codificati in un interessante e recente libro del docente e filosofo napoletano Eugenio Mazzarella (“Contro Metaverso. Salvare la presenza”, Mimesis edizioni), nel quale lo studioso si domanda se «in nome delle “magnifiche sorti e progressive” della realtà virtuale, della realtà aumentata […] gestita dagli algoritmi dell’intelligenza artificiale», non si stia arrivando alla dismissione dell’uomo, dell’essere umano «dall’essere-nel mondo di presenza fin qui abitato, promettendo un ampliamento degli spazi “vitali” accessibili all’esperienza individuale».
Che fare? Ci si domanda a questo punto. Ed è una domanda aperta che reca in sé la necessità di non rifiutare a priori la tecnologia, ma di mantenere, al contempo, la verità delle relazioni umane e dell’identità umana, fisica e spirituale nella propria dimensione integrale.
La domanda “Chi sono io” reca con sé la risposta “Io sono”, che è anch’essa una risposta aperta che si spande in molteplici direzioni e dimensioni, da quella corporea, a quella emozionale, a quella psichica fino a quelle più spirituali e insondabili. Tutte però reali, non virtuali, non parallele, non artificiali: uno spazio e un luogo (interiore ed esteriore) di libertà vera e non verosimile e non gestito da una o più multinazionali.
Adesso vi saluto, spengo il pc e vado a fare una bella passeggiata nel centro storico, fra la gente, i colori, gli odori, e, perché no, anche i rumori della mia città. Che sono veri.
Alberto Samonà